Faenza, emissioni odorigene: ora i cittadini hanno un’arma in più per far valere i propri diritti!

Qui potete vedere il video della conferenza stampa di questa mattina, tenuta in Piazza del Popolo al nostro banchetto. Grazie a Vincenzo Armaroli e a tutti gli intervenuti.
Qui il servizio di Faenza Web TV.
Di seguito il testo completo dell’intervento.

Da anni la nostra città è, purtroppo, conosciuta in tutto il Paese, non per la ceramica e le sue bellezze (come dovrebbe), ma per i miasmi puzzolenti che accolgono i visitatori nelle vicinanze del casello autostradale, dove si trovano diverse grandi aziende che formano uno dei più grandi poli distillatori d’Europa.
Un pessimo biglietto da visita, ma soprattutto un vero e proprio dramma per chi risiede in quella zona e convive, quasi quotidianamente, con insopportabili emissioni odorigene che compromettono pesantemente la qualità della loro vita sotto vari aspetti, non solo sanitari.

Va sottolineato, inoltre, che queste aziende, pur in possesso di tutte le autorizzazioni del caso e nel rispetto dei limiti di legge, tramite la combustione negli impianti a biomassa ospitati al loro interno (veri e propri inceneritori, in un caso anche di rifiuti…altro che energie rinnovabili…), immettono in atmosfera nanoparticolato pericoloso per la salute umana, godendo, perdipiù, di importanti sovvenzioni ed incentivi statali.

Le amministrazioni faentine hanno sempre negato e sottovalutato la problematica e alcune aziende, a nostro parere, non hanno fatto mai abbastanza e non hanno investito in maniera adeguata in accorgimenti per limitare l’impatto negativo, dovuto alla propria attività, sulla popolazione e sull’ambiente circostante.

In questi anni tanti cittadini esasperati si sono riuniti in comitati, hanno raccolto firme, fatto sentire la loro voce e, ultimamente, esternato la loro rabbia nel web e sui social media.
Sempre senza ottenere grandi risultati, cosa che ha portato ad una sorta di frustrazione, impotenza e rassegnazione, quasi a considerarsi dei Davide contro Golia.

Ora, però, qualcosa è cambiato e i cittadini faentini hanno il diritto di sapere ed essere informati.
La consapevolezza dei propri diritti è la forza necessaria per reagire, partecipare, diventare cittadini attivi.

Il ruolo della nostra forza politica è anche quello di fornire queste informazioni, che difficilmente vengono divulgate.
Passiamo ai fatti.

La Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con la sentenza del 18 Gennaio 2017, n. 2240 (che riprende e conferma altre sentenze precedenti riguardanti casi simili) ha rigettato il ricorso dell’azienda coinvolta e ha confermato quanto già deciso dal Tribunale di Lanciano il 30/07/2015: anche nel caso in cui un impianto sia munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, sia rispettoso dei limiti di legge e a prescindere dalla sussistenza dell’inquinamento atmosferico, se c’è produzione di “molestie olfattive”, il reato di getto pericoloso di cose è, comunque, configurabile.

L’azienda era stata condannata al pagamento di una sanzione di cui all’art. 674 del codice penale e, inoltre, al risarcimento dei danni patiti dalle persone offese, costituitesi parti
civili, da qualificarsi e valutarsi in separata sede.
Il responsabile legale dell’azienda era stato ritenuto responsabile di avere provocato, in qualità di titolare di un impianto di microforatura ad aghi caldi, emissioni di gas atte ad offendere le persone abitanti in prossimità del suddetto impianto.

L’azienda aveva poi presentato ricorso per diversi motivi. Il ricorrente lamentava che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto integrato il reato di cui all’art. 674 in una ipotesi di emissioni olfattive, provocate da un impianto autorizzato e rispettoso dei relativi limiti d’emissione, originate da sostanze corrispondenti alle previsioni autorizzative da un punto di vista “tipologico e quantitativo”.
In definitiva, sosteneva che l’immissione autorizzata di determinate tipologie e quantità di sostanze volatili era comprensiva, negli stretti limiti autorizzati, anche della loro manifestazione all’olfatto.
Il ricorrente lamentava che la sentenza impugnata era contraddittoria, laddove da un lato individuava i limiti riportati nell’autorizzazione quale parametro per misurare la tollerabilità delle emissioni e, dall’altro, attraverso il criterio della cosidetta “stretta tollerabilità”, obliterava l’esistenza di limiti autorizzati.
Secondo il ricorrente, l’unico criterio utilizzabile al di fuori del riferimento a regole positivamente legificate, era quello della “normale tollerabilità” di cui all’art. 844 del codice civile, che imporrebbe di valutare se sussistono accorgimenti tecnici trascurati.
Inoltre, sempre secondo il ricorrente, facendo applicazione del criterio della “normale tollerabilità” previsto dall’art. 844 del codice civile, il Tribunale avrebbe dovuto valorizzare il legittimo “preuso” del sito da parte dell’azienda, che, nel tempo, aveva adeguato le esigenze della produzione alle migliori tecniche disponibili, quantomeno ritenendo insussistente l’elemento soggettivo del reato.

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 2240/2017 ha ritenuto infondati tutti i motivi della tesi difensiva ed ha rigettato il ricorso.
La stessa Sezione della Suprema Corte, infatti, si era già pronunciata, in passato, sull’argomento, affermando che “anche nel caso in cui un impianto sia munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, in caso di produzione di “molestie olfattive” il reato di getto pericoloso di cose è, comunque, configurabile”, non esistendo una normativa statale che preveda disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori (Corte di Cassazione, Sezione III, n. 36905 del 18/06/2015; Corte di Cassazione, Sezione III, n. 2475 del 9/10/2007).
Ne consegue, precisa la Cassazione, che “non può riconoscersi automatica valenza scriminante alla produzione di emissioni odorigene pur realizzata nell’ambito dell’ordinario ciclo produttivo dell’impresa, ancorché regolarmente autorizzato”.

Quanto al lamentato mancato rispetto del parametro della tollerabilità, la Cassazione ribadisce di condividere l’indirizzo secondo cui il parametro alla stregua del quale valutare la legittimità dell’emissione deve essere individuato nel criterio della stretta tollerabilità, attesa la inidoneità di quello della “normale tollerabilità” previsto dall’art. 844 del codice civile, ad assicurare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana (Corte di Cassazione, Sezione III, n. 36905 del 18/06/2015; Corte di Cassazione, Sezione III, n. 2475 del 9/10/2007).
La Cassazione precisa, infine, che “la natura di reato di pericolo concreto e il peculiare criterio di valutazione della tollerabilità delle emissioni olfattive, comporta che sia sufficiente l’apprezzamento diretto delle conseguenze moleste da parte anche solo di alcune persone, dalla cui testimonianza il giudice può logicamente trarre elementi per ritenere l’oggettiva sussistenza del reato, a prescindere dal fatto che tutte le persone siano state interessate o meno dallo stesso fenomeno o che alcune non l’abbiano percepito affatto; non essendo nemmeno necessario un accertamento tecnico” (Corte di Cassazione, Sezione III, n. 36905 del 18/06/2015; in termini sostanzialmente analoghi v. Corte di Cassazione, Sezione III, n. 12019 del 10/02/2015, secondo cui ai fini dell’accertamento può farsi riferimento al fastidio dichiarato dai testimoni che hanno una percezione quotidiana dell’intensità dello stesso).

Viene quindi dato valore probatorio alle testimonianze dirette di alcune persone, senza la necessità di accertamenti tecnici.

A questa sentenza se ne aggiunge un’altra, sicuramente più particolare ma esemplificativa dell’orientamento dominante, del 24 marzo 2017, che ha dichiarato colpevoli gli abitanti di un condominio rei di aver provocato odori molesti da cucina che hanno superato la soglia
della tollerabilità dei vicini e sono stati integrati nella fattispecie di reato di getto pericoloso di cose, art.674 del codice penale.

Va segnalato anche quanto accaduto alla Bunge Spa di Ravenna negli scorsi mesi.
L’azienda è stata nel Novembre 2016 posta sotto sequestro preventivo dai Carabinieri del NOE, su mandato della Procura della Repubblica di Ravenna.
Il reato contestato agli amministratori responsabili della società è sempre l’art. 674 del codice penale, per l’emanazione nell’ambiente di vapori residuati dei processi industriali di trasformazione e di lavorazione di semi oleosi ed oli vegetali e prodotti derivati, con più condotte reiterate nel tempo, che consentivano che lo stabilimento producesse e provocasse emissioni odorigene e gas sgradevoli, atti a cagionare effetti indesiderati in danno della popolazione residente nei territori immediatamente limitrofi all’impianto, quali fenomeni di nausea, senso di vomito e problematiche respiratorie, tanto da costringere gli abitanti di Ravenna, in particolare delle frazioni di Marina di Ravenna e Porto Corsini, a costituire un comitato spontaneo formato da circa 700 persone che hanno poi intrapreso le vie legali.
Nello stesso provvedimento di sequestro era già contenuta l’autorizzazione alla società per porre in essere tutti i rimedi tecnologicamente possibili per ridurre il grado di intollerabilità delle emissioni odorigene. L’eliminazione o la riduzione significativa di questi effluvi e il risanamento della produzione di gas maleodoranti comportava la revoca del sequestro preventivo (come è poi successivamente successo) e spettava quindi alla società attivarsi in questa direzione.

E’ quindi ormai questo l’orientamento prevalente: causare molestia olfattiva per le persone è reato configurabile come “getto pericoloso di cose” ai sensi dell’art. 674 del codice penale.

Perchè non può avvenire la stessa cosa a Faenza?
Questi precedenti riguardano situazioni molto simili a quella che stiamo vivendo da tempo nella nostra città.

Il nostro obiettivo non è di certo quello di scagliarci contro questi colossi faentini, né, tantomeno, auspicare la chiusura di qualsivoglia azienda, ci mancherebbe, siamo ben consci del loro importante valore occupazionale sul territorio.
Vogliamo però che i cittadini e l’ambiente non debbano subire nessun tipo di danno a causa dell’attività privata delle suddette aziende.

E che gli stessi cittadini siano pienamente consapevoli delle azioni legali che possono intraprendere per difendere e far valere il loro sacrosanto diritto ad un ambiente sano e salubre.

Se ci sono gli estremi, anche basandosi sugli interessanti precedenti citati, le aziende devono essere sanzionate, risarcire chi ha subito il danno e costrette, anche con azioni importanti, ad attuare interventi migliorativi per abbattere o annullare le emissioni odorigene.

Invitiamo perciò tutti i cittadini che si sentono danneggiati, e sappiamo che non sono pochi, ad informarsi, ad armarsi di coraggio, ad unire le forze e a rivolgersi ad un buon avvocato, magari con un’azione collettiva, per far valere le proprie ragioni.

Le possibilità di incidere ed ottenere qualcosa, grazie ai fatti che abbiamo riportato, possono essere considerevoli.

Il M5S, prima forza politica nazionale, per quanto possibile, sarà al loro fianco, come sempre.


Una risposta a “Faenza, emissioni odorigene: ora i cittadini hanno un’arma in più per far valere i propri diritti!”

  1. Flavio scrive:

    Premetto che sono un convinto del movimento e voto anche su Rousseau, ma devo dire che questa volta avete deluso parecchio perchè sparate sul mucchio senza cognizione di causa.
    Io lavoro in una di queste aziende e vi assicuro che a parte l’odore non emettono nessuna sostanza pericolosa.
    Prima di sparare sentenze gratuite dovreste andare ad informarvi bene.
    Per favore non vi riducete come il PD che pur di avere consensi sparano cazzate tutti i giorni.
    Grazie.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *